Torna Dan Ettinger sul podio del Massimo napoletano venerdì 28 giugno alle ore 19:00. Il prossimo appuntamento della Stagione di Concerti vedrà protagonista il direttore musicale, alla guida di Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo, insieme al tenore Giorgio Berrugi.
In programma, Eine Faust-Symphonie S. 108 di Franz Liszt.
Liszt conobbe la tragedia goethiana per merito di Hector Berlioz, il dedicatario dell’opera, che così ricorda nei suoi Mémoires l’incontro avvenuto nel 1830: «Liszt venne a trovarmi. Non ci conoscevamo ancora. Gli parlai del Faust di Goethe, che mi confessò di non aver letto e di cui divenne presto un appassionato ammiratore, come me».
Eine Faust-Symphonie debuttò a Weimar nel 1857 e fu lo stesso Liszt a dirigerla, in occasione dell’inaugurazione del monumento in bronzo dedicato a Goethe e Friedrich Schiller.
La aprono tre Charakterbilder, ritratti psicologici dedicati ai principali personaggi: Faust, Gretchen e Mephistopheles, con l’aggiunta, in chiusura, del Chorus mysticus.
Dan Ettinger, direttore musicale del Teatro San Carlo dalla Stagione 2022-23, è uno dei direttori d’orchestra più richiesti a livello internazionale della sua generazione. Dirige nei più importanti teatri d’opera del mondo come la Metropolitan Opera di New York, la Washington National Opera, la Royal Opera House, l’Opéra National de Paris, il New National Theatre di Tokyo, l’Opernhaus di Zurigo, il Festival di Salisburgo e le Opere di Stato di Vienna e di Monaco di Baviera.
Giorgio Berrugi si è esibito in importanti teatri d’opera, auditorium e festival musicali come Teatro alla Scala, Royal Opera House, Lincoln Center, Teatro Bol’šoj, Opéra Bastille e Théâtre des Champs-Élysées, Deutsche Oper, Lyric Opera di Chicago, Opera di Roma, Gran Teatre del Liceu, Gewandhaus di Lipsia, Concertgebouw di Amsterdam, Suntory Hall di Tokyo, Wigmore Hall di Londra, Parco della Musica di Roma, Arena di Verona.
/ Concerto Sinfonico
28 Giugno 2024
Dan Ettinger / Giorgio Berrugi
Direttore | Dan EttingerTenore | Giorgio Berrugi
Programma Franz LisztEine Faust-Symphonie da Wolfgang von Goethe, in tre parti per tenore, coro maschile e orchestra, S. 108
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo Maestro del Coro | Fabrizio Cassi
Teatro di San Carlo | CREMISI venerdì 28 giugno 2024, ore 19:00 – S/P – CREMISI – VII
Maria Agresta e Freddie De Tommaso sono i protagonisti del Concerto di Pasqua del Teatro di San Carlo in programma martedì 26 marzo alle 19.
Sul podio, alla guida dell’Orchestra del Massimo napoletano, il direttore musicale Dan Ettinger.
Una scelta di arie e ouverture omaggia l’opera del XIX secolo ripercorrendo l’intero arco del secolo romantico per spingersi, poi, fino ai primi anni del Novecento. L’Italia ha un posto di primo piano con autori come Rossini, Verdi e Ponchielli, Mascagni e Puccini. Le ouverture de La forza del destino e del Guglielmo Tell incontrano il celebre intermezzo da Cavalleria rusticana. E ancora si susseguono arie da Aida e La Gioconda, Tosca, La bohème e Madama Butterfly. Non mancano le incursioni nella tradizione operistica francese con la Carmen di Georges Bizet e Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns.
Dan Ettinger, direttore musicale del Teatro San Carlo dalla Stagione 2022-23 dirige nei più importanti teatri d’opera del mondo come la Metropolitan Opera di New York, la Washington National Opera, la Royal Opera House, l’Opéra National de Paris, il New National Theatre di Tokyo, l’Opernhaus di Zurigo, il Festival di Salisburgo e le Opere di Stato di Vienna e di Monaco di Baviera.
Maria Agresta vince nel 2014 il Premio Franco Abbiati. Fin dal primo grande successo, nel 2011 con il debutto ne I vespri siciliani, calca i palcoscenici più prestigiosi: Teatro alla Scala, Arena di Verona, Teatro dell’Opera, Teatro La Fenice, Teatro San Carlo, Royal Opera House, Bayerische Staatsoper, Semperoper di Dresda, Opéra Bastille. Collabora con direttori quali Riccardo Muti, Daniel Barenboim, Zubin Mehta, Antonio Pappano, Gianandrea Noseda, Nicola Luisotti, Michele Mariotti.
Freddie De Tommaso raggiunge la notorietà nel 2021 quando dà voce a Cavaradossi nella produzione di Tosca della Royal Opera House, il più giovane tenore di sempre a interpretare questo ruolo nella storia del Covent Garden. Nella corrente stagione ha debuttato al Teatro di San Carlo, dopo aver esordito, tra gli altri, al Teatro La Fenice, Teatro alla Scala, Arena di Verona, Gran Teatre del Liceu, Dutch National Opera, Bayerische Staatsoper, Wiener Staatsoper. Il suo primo album Passione vince il BBC Music Magazine Award per il miglior esordiente.
Teatro di San Carlo martedì 26 marzo 2024 ore 19:00
CONCERTO DI PASQUA
Direttore | Dan Ettinger Soprano | Maria Agresta Tenore | Freddie De Tommaso
Programma Giuseppe Verdi, Ouverture da La forza del destino Giuseppe Verdi, “Celeste Aida”, da Aida Giacomo Puccini, “Si, mi chiamano Mimì”, da La bohème Giacomo Puccini, “O soave fanciulla”, da La bohème Camille Saint-Saëns, Bacchanale, da Samson et Dalila
Gioachino Rossini, Ouverture da Guglielmo Tell Amilcare Ponchielli, “Cielo e mar!”, da La Gioconda Giacomo Puccini, “Un bel dì, vedremo”, da Madama Butterfly Georges Bizet, “La fleur que tu m’avais jetée”, da Carmen Pietro Mascagni, Intermezzo da Cavalleria rusticana Giacomo Puccini, “Vissi d’arte” da Tosca Giacomo Puccini, “Mario! Mario! Mario!” “Son qui!” – “Mia gelosa!”, da Tosca
Terminata nel 1816, quando il compositore aveva solo 19 anni, la Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D 485 di Franz Schubert fa riferimento esplicito a modelli mozartiani. La presenza del genio immortale di Mozart sembra infatti dominare questa Sinfonia che si presenta come un vero e proprio omaggio al compositore di Salisburgo.
La Grande Messa in do minore, K 427 di Wolfgang Amadeus Mozart composta fra Salisburgo e Vienna nel 1783 per invocare la guarigione della moglie Konstanze a pochi mesi dal matrimonio è l’ultima pagina sacra mozartiana prima del Requiem. A interpretarla, accanto all’Orchestra e al Coro del Teatro di San Carlo un quartetto di voci di prestigio quali i soprani Nadine Sierra e Ana Maria Labin, il tenore Attilio Glaser e il basso Adolfo Corrado.
A cura di Marco Bizzarini
Schubert e Mozart: evocazioni musicali di «una vita più luminosa»
Dura la vita dell’insegnante, troppo spesso alle prese con ragazzini indisciplinati e con genitori arroganti. Potrebbe quasi sembrare una tranche de vie dei nostri giorni, ma a lamentarsi dei tanti soprusi subìti durante l’attività di maestro di scuola era, nella civilissima Vienna di due secoli or sono, Ignaz Schubert, fratello maggiore del più celebre Franz. Il quale, anch’egli destinato dal padre ad affrontare la «rudezza di una gioventù selvaggia» (per sua fortuna non ancora armata di cellulari e computer), si sottrasse all’ingrato compito gettandosi a capofitto nella musica. Così, nel 1816, a diciannove anni compiuti, il prodigioso compositore viennese metterà su carta pentagrammata quasi duecento lavori, tra Lieder, danze, sonate, sinfonie: una creatività sbalorditiva. Mirabile testimonianza di questa facilità di scrittura è la Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore, ancor oggi una delle composizioni schubertiane più celebri. Ma che cosa poteva spingere un diciannovenne d’inizio Ottocento a scrivere una partitura orchestrale? Oltre al gusto della sfida con se stessi entrava in gioco la prospettiva concreta di veder eseguito il proprio lavoro. A Vienna non c’erano solo i grandi concerti pubblici – o ‘accademie’, come allora si diceva – in cui si tenevano a battesimo, fra l’altro, le Sinfonie di Beethoven.
La vita musicale cittadina si arricchiva anche di numerose iniziative ‘semi-private’, come gli incontri promossi dal violinista Otto Hatwig, nel cui salotto vennero eseguite, secondo il musicologo Otto Biba, tutte le prime sei Sinfonie di Schubert. Conosciamo l’organico della compagine diretta da Hatwig: sette violini primi, sei secondi, tre viole (una delle quali suonata dallo stesso Schubert), tre violoncelli, due contrabbassi e una coppia per ciascuno strumento a fiato (corni e legni). Era un organico da camera, privo di trombe e timpani, numericamente ridotto rispetto ai circa sessanta esecutori che potevano essere impegnati nei concerti pubblici coevi. Gratificato dall’idea di un’esecuzione, con la Quinta Sinfonia Schubert diede il meglio di sé nella composizione di quattro movimenti certamente riconducibili alla gran tradizione di Mozart e Haydn, ma anche ricchi di stilemi personali. «O Mozart, Mozart immortale, quante, oh quante infinite confortanti percezioni di una vita più luminosa e migliore tu hai portato alle nostre anime!». Così annotava il giovane Schubert nel proprio diario. Un concetto, quest’ultimo, elegantemente trasfigurato in musica nei motivi principali della Quinta Sinfonia, a cominciare dall’indimenticabile tema d’apertura del primo movimento, così sereno, così fluido, così magistrale nel suo dialogo serrato in eco tra violini e violoncelli. Con diabolica perspicacia il musicologo Donald Tovey scoprì che l’idea principale dell’Andante con moto richiama da vicino l’ultimo movimento della mozartiana Sonata per violino e pianoforte K 377, mentre chiunque potrebbe notare la somiglianza dell’incipit del Menuetto in Sol minore con quello della Sinfonia K 550 nella medesima tonalità (anch’essa priva di clarinetti, trombe e timpani). Questi sono indubitabili omaggi al grande predecessore salisburghese, ma l’abilità nelle modulazioni, la fantasia melodica, gli imponenti culmini sonori, i passaggi repentini a tonalità minori che già anticipano le ombre della Sinfonia n. 8, sono tutti elementi stilistici propri di Schubert.
L’incompiuta Messa in Do minore K 427 di Mozart racchiude in sé una moltitudine di segreti che, probabilmente, non saranno mai svelati. Di sicuro non si trattò di un lavoro su commissione, e già questo fatto è inconsueto per la musica sacra dell’epoca. Congedatosi dal servizio presso l’arcivescovo salisburghese Geronimo Colloredo, nel 1781 il giovane compositore tentava l’azzardo della libera professione nel «miglior posto possibile» per un musicista: Vienna. Quell’inebriante sensazione di libertà, unita all’inizio della vita matrimoniale con Constanze Weber, sposata nell’agosto 1782, fu all’origine dell’idea di una Messa completamente diversa rispetto alle precedenti composizioni religiose del periodo di Salisburgo. Mozart stesso, nella lettera al padre Leopold del 4 gennaio 1783, rivela alcuni dettagli sull’ambizioso progetto: «la partitura di metà di una Messa (…) può servire come prova della realtà della mia promessa». Quale promessa? Forse un voto del musicista: scrivere una Messa dopo la guarigione di Constanze e poi recarsi in visita dal genitore a Salisburgo in compagnia della sposa. All’epoca della missiva, la composizione era giunta a metà, comprendendo ipoteticamente solo Kyrie e Gloria. Ma Mozart non portò mai a termine il lavoro: tra le parti a noi pervenute figurano solo le prime due sezioni del Credo e il Sanctus; nessuna traccia dell’Agnus Dei. Nell’attuale stato lacunoso, l’esecuzione dell’opera può durare circa un’ora; è chiaro che nella sua interezza la composizione avrebbe assunto proporzioni monumentali, paragonabili alla Messa in si minore di Bach o alla Missa solemnis di Beethoven. Una monumentalità, del resto, confermata dall’inedita ampiezza dell’organico orchestrale (comprendente flauto, coppie di oboi, fagotti, corni, trombe, tre tromboni, timpani, archi, organo) e dalle forze vocali (cinque solisti di canto con due soprani, impiego del doppio coro a otto voci nel Qui tollis).
Il tutto all’insegna di un sorprendente compasso stilistico, in grado di passare con disinvoltura da pagine di stile neo-bachiano e neo-händeliano alle delizie dello stile concertante moderno (Et incarnatus, con fiati obbligati), dalla severità del Kyrie alla luce abbagliante del celestiale Christe. Il diario di Nannerl, sorella del compositore, ci informa che la Messa incompleta venne eseguita, almeno parzialmente, il 26 ottobre 1783, durante una funzione liturgica nella chiesa abbaziale di San Pietro a Salisburgo, alla presenza di tutti i musicisti di corte. Una consolidata tradizione ottocentesca, a partire almeno dalla biografia di Georg Nikolaus Nissen, sostiene che Constanze avesse cantato le parti solistiche del primo soprano. Questa affermazione, ancor oggi, viene spesso riportata in modo acritico. Che Mozart, durante la composizione della Messa, pensasse alla moglie, pare confermato sia dalla stretta parentela melodica del Christe con il Solfeggio K 393 a lei destinato, sia dall’Et incarnatus, il cui ritmo di siciliana evoca la tenerezza di un presepe. D’altra parte, che in una chiesa cattolica del Settecento sia stato permesso a una donna di cantare durante una funzione liturgica assieme ai musici della cappella appare quanto meno dubbio. Un secolo più tardi Giuseppe Verdi, in previsione dell’esecuzione in chiesa del Requiem collettivo in memoria di Rossini, pensava di chiedere un’autorizzazione speciale al Papa per poter far cantare, eccezionalmente, le donne. La partecipazione di Constanze all’esecuzione salisburghese assume dunque contorni da leggenda (più verosimile, magari, che abbia partecipato alle prove della Messa nella storica Kapellhaus), ma questo è soltanto uno dei tanti misteri irrisolti legati alla sublime Messa in Do minore.
Teatro di San Carlo | mercoledì 20 dicembre 2023, ore 19:00
DAN ETTINGER CONCERTO DI NATALE
Direttore | Dan Ettinger Soprano I | Nadine Sierra
Soprano II | Ana Maria Labin♭
Tenore | Attilio Glaser♭
Basso | Adolfo Corrado ♭
♭ debutto al Teatro di San Carlo
Programma
Franz Schubert, Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore, D 485
Wolfgang A. Mozart, Grande Messa in do minore per soli, coro e orchestra, K 427
Protagonisti Sondra Radvanovsky, Yusif Eyvazov e Rosa Feola
Sabato 9 dicembre ore 20
Lo spettacolo sarà trasmesso da Rai Cultura in prima serata su Rai5 alle 21.15e in diretta streaming sulla piattaforma Medici.tv
Il Teatro di San Carlo inaugura la Stagione2023/2024 con Turandot, ultimo capolavoro di Giacomo Puccini, compositore di cui nel 2024 ricorrono i 100 anni dalla morte.
Il sipario si alzerà sabato 9 dicembre 2023 sulla nuova produzione per la regia di Vasily Barkhatov, al suo debutto al San Carlo.
Barkhatov, nato a Mosca nel 1983, è tra i registi più richiesti della sua generazione, tra le ultime produzioni operistiche che ha firmato si ricordano Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi alla Deutsche Oper Berlin e Le Grand Macabre di György Ligeti all’Opera di Francoforte.
“In questa produzione – dichiara il regista – desideravo preservare la bellezza del trionfo finale dell’amore che sembra un super Happy End, un concentrato di tutti i lieto-fine della storia dell’opera. Certo, non sappiamo quale fosse l’intenzione reale di Puccini, ma per me è molto rilevante che ci fosse un precedente, il lieto-fine a sorpresa della Fanciulla del West, quasi come un musical (o un futuro film hollywoodiano). Il mio secondo punto di partenza è stato attribuire un maggiore valore umano ai due protagonisti. Nel tempo infatti Calaf e Turandot si sono trasformati in nomi simbolici conosciuti da tutti, proprio come Romeo e Giulietta, Otello e Desdemona, ma di cui non conosciamo l’intima umanità. Volevo offrire più livelli, a loro e alla storia, con ulteriori sottotesti e contesti, ma allo stesso tempo conservare il carattere originario, la bellezza della fiaba”.
La direzione di Turandot è affidata al direttore musicale Dan Ettinger, alla sua prima inaugurazione sancarliana, sul podio alla testa di Orchestra e Coro del Lirico di Napoli.
“Lo sguardo curioso di Puccini – afferma Ettinger – va con questa sua ultima opera ben oltre Butterfly. In Turandot giunge all’estremo la voglia del compositore di sperimentare, la sua curiosità. Puccini sperimenta motivi, melodie, frammenti ritmici, ogni possibile via per portare il suo viaggio davvero oltre i limiti. Pensiamo all’orchestrazione, dove usa strumenti esclusivamente occidentali, ma che imitano quelli cinesi senza inserirne di autentici. Con mezzi del tutto tradizionali, raggiunge il suo scopo che è di “imitare” non copiare la realtà, con risultati artistici eccezionali. Da un lato l’uso dell’orchestra sembra davvero convenzionale, soprattutto nella situazione attuale delle grandi orchestre occidentali. Ma è l’uso che Puccini fa dell’orchestra, la sua orchestrazione, che è semplicemente geniale. È vero che inserisce un solo autentico strumento cinese, il gong, ma se guardiamo all’intera sezione delle percussioni, tutte rigorosamente occidentali, quel che riesce a creare con questi diversi strumenti non può che essere definito geniale”.
Le scene di questa nuova produzione del Teatro di San Carlo sono di Zinovy Margolin mentre firma i costumi Galya Solodovnikova, le luci sono di Alexander Sivaev.
Un cast internazionale vede in primo piano Sondra Radvanovsky, una delle grandi voci del nostro tempo, affrontare il ruolo della principessa Turandot con al suo fianco Yusif Eyvazov nei panni del principe Calaf e Rosa Feola in quelli di Liù.
Nella compagnia di canto anche Alexander Tsymbalyuk (Timur), Nicola Martinucci (Altoum), Alessio Arduini (Ping), Gregory Bonfatti (Pang), Francesco Pittari (Pong), Sergio Vitale (Un mandarino).
Completano il cast Valeria Attianese (Prima ancella), Linda Airoldi (Seconda ancella), Vasco Maria Vagnoli (Il Principino di Persia). Maestro del Coro è Piero Monti. Il Coro di voci bianche è guidato come sempre da Stefania Rinaldi.
Lo spettacolo è dedicato anche a Maria Callas nel centenario dalla nascita (1923 – 2023), che cantò per la prima volta al Teatro San Carlo nel 1949 proprio il ruolo di Turandot per tre rappresentazioni.
Opera in tre atti e cinque quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, Turandot mancava dalle scene sancarliane dal 2015 e andrà in scena nella versione con il finale di Franco Alfano. Sette in tutto le recite, in programma dal 9 al 17 dicembre.
La serata del 9 dicembre sarà trasmessa da Rai Cultura in prima serata su Rai5 alle 21.15 e in diretta streaming sulla piattaforma Medici.tv.
Nei primi mesi del 2024 Turandot sarà diffusa anche nei cinema internazionali di Australia, Spagna e paesi di lingua spagnola oltre che sulla piattaforma SigmArt.
La Stagione di Concerti 2022/23 del Teatro di San Carlo giunge al penultimo appuntamento sabato 4 novembre alle 19 con il direttore musicale Dan Ettinger allaguida dell’Orchestra e del violinista tedesco Linus Roth. In programma il Concerto in sol minore per violino e orchestra, op. 67di Mieczysław Weinberg e la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 55 “Eroica” di Ludwig van Beethoven.
Dan Ettinger e il violinista Linus Roth (nelle foto)
Dan Ettinger e il violinista Linus Rothprotagonisti del nuovo appuntamento della Stagione di Concerti
Sabato 4 novembre ore 19
Programma
Mieczysław Weinberg Concerto in sol minore per violino e orchestra, op. 67
Ludwig van Beethoven Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore, op. 55 “Eroica”
Orchestra del Teatro di San Carlo
Classe 1977, Dan Ettinger, da quando ha vinto l’Echo Klassik Award per il suo album di debutto nel 2006, Linus Roth si è affermato come uno dei violinisti più interessanti della sua generazione e come divulgatore di opere e compositori ingiustamente dimenticati. Il suo impegno nei confronti del compositore polacco MieczysławWeinberg è testimoniato anche dall’incisione del Concerto per violino e orchestra op.67 con la Deutsches Symphonie di Berlino. Nel corso sella sua carriera Roth si è esibito con la Radio Symphony Orchestra della SWR e Berlino, l’orchestra Bruckner di Linz, la Royal Liverpool Philharmonic, la Berner Sinfonieorchester e la Munich Chamber Orchestra.
Mieczysław Weinberg compose il Concerto in sol minore per violino e orchestra op. 67, su richiesta di Leonid Kogan, che lo eseguì per la prima volta il 12 febbraio 1961 a Mosca, con l’Orchestra Filarmonica di Mosca diretta da Gennadij Rozhdestvenskij. L’aspetto più evidente della composizione è l’eccezionale rilievo conferito al violino solista, che suona ininterrottamente dalla prima all’ultima battuta. Si tratta di un autore ingiustamente poco valutato, soprattutto in Italia (questa è la prima esecuzione a Napoli del suo Concerto per violino) per la cui riscoperta il violinista Roth è fortemente impegnato.
Nella seconda parte del concerto, l’Orchestra del Teatro di San Carlo eseguirà la Sinfonia n.3 in mi bemolle maggiore op.55 “Eroica” di Ludwig van Beethoven, composizione cruciale, nella storia del genere e nella parabola creativa beethoveniana. L’opera doveva inizialmente essere dedicata a Napoleone Bonaparte, icona di una umanità rinnovata dagli ideali rivoluzionari di libertà e uguaglianza. L’autoincoronazione di Napoleone a imperatore portò invece il compositore a cambiare prospettiva e titolare “Sinfonia eroica”. La prima esecuzione assoluta ebbe luogo al Theater an der Wien il 7 aprile 1805.
Guida all’ascolto del Concerto per violino di Mieczysław Weinberga cura di Giuseppina Crescenzo
Quando ci si addentra nel panorama della musica classica russa, e in particolare sovietica, emergono i nomi di vari compositori tuttora poco noti, soprattutto per il pubblico italiano. Recentemente, diversi critici, musicologi e artisti hanno iniziato a discutere di una figura che è stata etichettata come “il terzo grande compositore sovietico” (dopo Dmitrij Šostakóvič e Sergej Sergeevič Prokof’ev). Stiamo parlando del compositore Mieczysław Weinberg (il cui nome si pronuncia ‘Mee-yeh-chiss-wav’ e il cognome ‘Vine-berg’). Weinberg, vissuto dal 1919 al 1996, ha prodotto un vasto repertorio musicale. Se uno si dovesse chiedere il motivo per cui non ha mai sentito parlare di Weinberg prima d’ora, esistono diverse ragioni che spiegano perché la sua musica non abbia raggiunto una notorietà duratura nel corso della sua vita, e alcune di queste ragioni verranno esplorate di seguito.
Weinberg nacque in Polonia nel 1919 da genitori ebrei. Con l’avvento della seconda guerra mondiale, la Germania nazista invase la Polonia. Rendendosi conto che la vita di un giovane ebreo sarebbe stata a rischio, il diciannovenne Weinberg fuggì verso est e, dopo settimane di viaggio estenuante, raggiunse l’Unione Sovietica, dove fu accettato come cittadino con il nome ufficiale cambiato in “Moisey”. Studiò composizione al Conservatorio di Minsk ma dovette fuggire dall’avanzata nazista in Unione Sovietica nel 1941. Weinberg si rifugiò allora a Tashkent, dove le sue composizioni cominciarono a suscitare notevole interesse. Per il resto della sua vita, Weinberg visse a Mosca, con la sua musica celebrata da artisti del calibro di David Oistrakh, Mstislav Rostropovich, Kiril Kondrashin, oltre al Borodin Quartet. Tuttavia, non sfuggì ai dolori della vita sotto il regime sovietico. Il clima politico antisemita del dopoguerra portò all’assassinio del suocero di Weinberg per ordine di Stalin nel 1948. Nel culmine di questo fervore politico, Weinberg stesso fu imprigionato per diversi mesi nel 1953, venendo rilasciato solo dopo la morte di Stalin. Quest’esperienza lo segnò profondamente, spingendolo a dedicare il resto della sua vita alla composizione musicale, principalmente in memoria delle vittime della guerra.
Weinberg si rivelò un compositore estremamente prolifico, con sinfonie, opere, quartetti d’archi, musiche per film e per il circo. La sua musica sta vivendo una rinascita in Russia e in Occidente, dopo un periodo di oblio. Le ragioni di ciò sono molteplici. In parte, la sua relativa oscurità è attribuibile al suo forte senso di modestia, che lo portava a fare poco per promuovere la propria musica o assicurarne l’esecuzione. Weinberg fu anche vittima delle correnti contrarie nella scena musicale sovietica. Con l’emergere di una nuova generazione di compositori, la musica di Weinberg veniva eseguita sempre meno. Tuttavia, oggi la sua musica sta finalmente ottenendo il riconoscimento che merita.
Linus Roth, violinista tedesco di fama internazionale e solista di questa serata ha il nobile merito di aver riscoperto le composizioni di Weinberg. Ciò avvenne più o meno per caso. Entusiasta dopo aver scoperto un suo Trio con pianoforte, ha continuato la sua ricerca e ha riscoperto, oltre alle Sonate per violino di Weinberg, appunto il Concerto per violino, completamente assente dalle sale concertistiche occidentali. Roth si è impegnato molto per portare in vita le opere di Weinberg e ha fondato la Weinberg Society – il cui presidente onorario è la vedova di Šostakóvič, Irina – con lo scopo di far conoscere meglio l’ampia opera del compositore polacco-russo nelle sale da concerto e attraverso le incisioni.
Linus Roth considera il Concerto in sol minore per violino e orchestra, op. 67 uno dei migliori concerti per violino del ventesimo secolo e afferma che “c’è qualcosa nella sua musica che in qualche modo ti dà sempre fastidio”.
Il Concerto per violino, che Weinberg compose nel 1959, fu presentato in prima a Mosca il 12 febbraio 1961, interpretato da Leonid Kogan e dall’Orchestra Filarmonica di Mosca, diretti da Gennady Rozhdestvensky; fu poi pubblicato da Sikorski ad Amburgo e dedicato allo stesso Leonid Kogan. La prima tedesca è stata eseguita da Linus Roth e la Badische Staatskapelle, diretta da Mei-Ann Chen al Badisches Staatstheater Karlsruhe il 2 novembre 2014. La prima americana è stata eseguita da Gidon Kremer e dalla Naples Philarmonic diretta da Andrey Boreyko alla Hayes Hall di Naples (Florida) il 9 gennaio 2015. Anche la prima a Napoli, al Teatro di San Carlo, è eseguita oggi 4 novembre 2023, da Linus Roth (al suo debutto nel Massimo napoletano) con l’Orchestra del Teatro di San Carlo diretta da Dan Ettinger. Nel 2014 Linus Roth, insieme all’Orchestra Sinfonica Tedesca di Berlino diretta da Mihkel Kütson, ha anche inciso il Concerto insieme al Concerto per violino di Benjamin Britten. Un recensore di “Gramophone” attribuisce all’interpretazione di Roth “più finezza e gamma di colori” rispetto alla prima incisione, quella di Kogan del 1961, sempre con l’Orchestra Filarmonica di Mosca, ora diretta da Kirill Kondrashin.
Il concerto al Teatro di San Carlo si presenta quindi come un’occasione straordinaria per conoscere un brano e un compositore ancora del tutto sconosciuti nell’Italia meridionale riproposti dal più grande esperto violinista di Weinberg. Ed è proprio a tal proposito che Linus Roth, parlando della partitura sostiene che “è tutto tranne che semplice. Bisogna confrontarsi con essa, sopportare gli interrogativi che pone. Temi potenti e grezzi si alternano a melodie tipiche delle ballate e a passaggi inaspettatamente introspettivi. Quasi sembra che Weinberg abbia messo in musica la sua biografia”. Da ebreo, dopo l’invasione tedesca della Polonia, fuggì da Varsavia a est, prima a Minsk, poi a Tashkent. La sua famiglia cadde vittima del regime nazista. Šostakóvič riconobbe il suo grande talento, lo invitò a trasferirsi con la moglie a Mosca e divenne suo caro amico e mèntore.
Ma Weinberg era polacco in Russia, russo in Polonia e comunque troppo ebreo per essere un compositore sovietico. La musica di Weinberg subisce inevitabilmente influenze della musica ebraica; elementi lamentosi-lirici ma anche momenti effervescenti sono tipici della sua musica. Il suo coraggio di vivere, ma anche il suo conflitto e la sua solitudine possono essere ascoltati nel suo Concerto per violino, strutturato in quattro movimenti: Allegro molto, Allegretto, Adagio, Allegro risoluto. Il movimento di apertura è stato definito “inesorabile”, ed è seguito da altri due movimenti “esplorativi”, che utilizzano le stesse idee con un tono più calmo. Il finale ritorna ad uno “slancio trascinante” ma termina in un pianissimo. La poetica di Weinberg, il suo spirito vitale, ma anche la sua lacerazione e solitudine, sono udibili in questo concerto. Il primo movimento Allegro molto si apre con un’esplosione sonora sostenuta dalle percussioni e un ritmo incalzante degli archi, sul quale il violino solista scolpisce le sue note da solista. Linus Roth afferma che “il tema del concerto è come un drive: qualcuno che ti trascina, che corre a destra e a sinistra senza guardare. Con il procedere i suoni diventano sempre meno ritmici e più lirici, tipico di Weinberg. Un nuovo motivo quindi sopraggiunge a toni discendenti rendendo subito la composizione più lirica quasi come un lamento”. Questo è tipico della musica ebraica: suoni che prendono la forma di lamenti e lacrime (lo stesso procedimento segna il nuovo tema della seconda frase musicale). È naturale ritrovare nella sua musica riferimenti alle origini ebraiche di Weinberg ed è per questo che dobbiamo entrare ora più in profondità in questa parte della sua biografia per seguire le sue scelte musicali. Era fuggito dai nazisti a soli vent’anni, nel 1939, subito dopo essersi diplomato al Conservatorio di Varsavia e la sua famiglia, rimasta in patria, fu sterminata nei campi di concentramento, per cui Weinberg rimase solo al mondo. Il padre Shmuel, un violinista autodidatta, era giunto a Varsavia per lavorare nel Teatro ebraico yiddish, e il giovane Weinberg, durante gli anni difficili della Grande Depressione, lo aiutava a preparare gli spettacoli come arrangiatore e direttore. Rifugiatosi a Minsk, in Bielorussia, Weinberg continuò i suoi studi di composizione al Conservatorio con Vasilij Zolotarev, uno dei numerosi allievi di Rimskij-Korsakov. Durante la fuga, la guardia di frontiera russa che esaminava i documenti di Weinberg tradusse il suo nome polacco Mieczyslaw nella forma ebraica Moisej, un cambiamento di nome che lo tormenterà per tutta la vita. Tuttavia, la fuga verso Est non era ancora finita, poiché l’invasione tedesca del 1941 costrinse Weinberg a rifugiarsi a Tashkent, la capitale della Repubblica Uzbeka. Lì, incontrò la sua prima moglie, Natalia Vovsi, figlia del famoso attore Solomon Mikhoels, direttore del Teatro ebraico statale di Mosca e presidente del Comitato antifascista ebraico, un’organizzazione voluta da Stalin all’indomani dell’invasione nazista per sostenere l’Unione Sovietica, soprattutto a livello internazionale, nella Grande Guerra Patriottica. Nel frattempo, Weinberg entrò in contatto con Šostakóvič, che aveva elogiato molto la sua Prima sinfonia e lo aveva accolto a Mosca. Weinberg, pur non avendo mai ricevuto lezioni dirette da Šostakóvič, dichiarò di sentirsi “sua carne e sangue”; affermò di essere un suo studente: “Anche se non ho mai preso lezioni da lui, mi considero suo allievo, suo sangue e carne”. Tuttavia, hanno sempre avuto un rapporto paritario discutendo intensamente sulle loro composizioni. Le reciproche influenze non possono essere ignorate. Šostakóvič fu molto impressionato dal Concerto per violino di Weinberg, definendolo un “lavoro favoloso”.
Tornando al Concerto, il tema della disperazione espresso dal violino culmina in tutti i registri sonori fino ad esplodere nel Tutti dell’orchestra che porta al culmine dell’espressività la prima frase musicale. La sua musica echeggia come qualcosa che disturba, che non “ti lascia mai tranquilli”, associata a grida di dolore e di lamento, “es ist nicht unglaublich angenehmer”, aggiunge Roth. Molto tipico in Weinberg. Il secondo movimento, Allegretto, contrariamente al primo, non è più un andare avanti energicamente, bensì “un Walzer, che gira intorno sempre allo stesso tema che si ripete; ma non si tratta di un walzer allegro bensì di una danza come in un cimitero. Il suono del violino si veste di una voce morbosa. Il violino ora suona con la sordina come a rafforzare maggiormente l’effetto depressivo di lamento, nonostante si tratti di un ballo, di un walzer. Nella seconda metà del secondo movimento si toglie la sordina, i suoni del solo diventano più acuti ed è, secondo Roth “come un ritorno dal cimitero verso la vita” mentre l’orchestra ritorna a suonare il walzer e il tutto si conclude con i pizzicati di contrabbasso. All’improvviso arrivano alcune note dal corno, come un allarme nascosto ma il violino è lasciato nuovamente solo come in un povero monologo, segue una breve cadenza al riguardo, le note diventano più acute come a cercare una strada per concludere ma a questo punto, senza interruzione, comincia subito il terzo movimento che, secondo Roth, rappresenta il cuore di tutto il Concerto. Il terzo movimento, Adagio, è molto lirico per il violino. La melodia è molto bella, introversa. “E’ un movimento che, anche quando lo interpreto – aggiunge ancora Roth -, sembra fermare il tempo: solo Weinberg può farlo. E questa è la differenza, a mio giudizio, tra un grande compositore e un compositore soltanto molto bravo”. Il terzo movimento è una specie di ballata. Racconta molte cose ma si ha la sensazione che il solista stia parlando della sua vita. L’orchestra suona una nota lunga su un pp; il violino suona una nota acuta, una melodia semplice. Si ripete per tre volte in tre tonalità diverse ma sembra un lamento giunto da molto lontano, dalla solitudine di una persona che, probabilmente, è lo stesso sentimento provato da Weinberg. “E il terzo movimento si chiude con una nota acutissima e pp del violino solo che è quasi un punto interrogativo o una domanda per Weinberg: come si va avanti, come finisce? Questa nota sola tenuta è in qualche modo anche espressione di una certa solitudine nella mia vita”. Allegro risoluto. Il quarto movimento rilascia nuovamente una energia impressionante, ritorna l’andamento della danza e non è solo risoluto ma “anche rustico” (secondo la definizione che troviamo già nei concerti di Vivaldi “alla rustica”). Sembra ambientato in un paese e quindi il “solista deve suonare un po’ grezzo, non perfetto nella tecnica ma semplice”; non deve avere un suono limpido e chiaro; non deve suonare come una qualsiasi musica classica da concerto.
Weinberg conosceva i più importanti violinisti del tempo, erano amici e lui componeva per loro. Conosceva bene le capacità organologiche del violino e sapeva cosa si può creare per lo strumento: “non è tecnicamente facile da suonare ma fattibile”. Il movimento si evolve con una grande sorpresa: una nuova melodia entra contrastando il tema originario e l’intero movimento:
ci vuole un direttore molto bravo perché il solista suona una melodia su un ritmo sincopato degli archi”. Il brano, secondo Roth, è “stupendo ma non è un brano virtuosistico dove alla fine il pubblico si alza entusiasta per applaudire”. Weinberg ha composto sempre in un modo introverso e in modo da lasciare un punto interrogativo in ogni composizione. “Questo è il motivo per cui tanti solisti non l’hanno eseguito volentieri”. E il finale non è per nulla scontato: ritorna il primo tema del primo movimento prima in maggiore e poi nella tonalità minore e poi sempre più dissonante nel violino solista “tanto da innervosire. La cosa più difficile di Weinberg è che dopo un passaggio energetico del tema del primo movimento e poi la ripresa nel IV movimento emette un suono pianissimo, leggero, dolce in un acutissimo. Per un violinista è difficile trovare il compromesso tra la calma per mettere il suono bene e la forza mentale per esprimere il pensiero. Questa è là difficoltà di suonare Weinberg!”. E all’improvviso, dopo un suono così difficile, giunge la fine: quel momento di sospensione tra l’ultima nota e il primo applauso del pubblico è il momento magico, la cifra della musica di Weinberg.