Il ritorno di Montemezzi: “L’amore dei tre re” in scena dopo 70 anni
Chiara Isotton protagonista nel palcoscenico occupato da dieci chilometri di catene immaginato da Àlex Ollé con lo scenografo Alfons Flores.
Debutta sul podio Pinchas Steinberg
L’amore dei tre re di Italo Montemezzi è in scena alla Scala per cinque rappresentazioni dal 28 ottobre al 12 novembre con la direzione di Pinchas Steinberg, che debutta nella buca del Piermarini, e le voci di Chiara Isotton – già allieva dell’Accademia, la cui carriera si è consolidata anche alla Scala in alcune recite di Fedora -, del tenore Giorgio Berrugi nella parte dell’amante Avito, del baritono Roman Burdenko nei nobili panni del consorte Manfredo tradito ma aperto al perdono, del basso Evgeny Stavinsky nella parte dell’implacabile Archibaldo, padre e suocero spietato, e del tenore Giorgio Misseri che interpreta Flaminio.
Il libretto di Sem Benelli, dai toni di un acceso e spesso estremo dannunzianesimo, dipinge sullo sfondo di un remoto castello nell’Italia medievale percorsa delle invasioni dei barbari la solitudine di Fiora, voce di soprano assediata dalla volontà di possesso dei tre personaggi maschili, la cui ossessione amorosa è volontà di controllo che sfocia inevitabilmente nell’assassinio. L’ultimo atto si conclude con altre due morti, vittime del veleno sparso sulle labbra del cadavere della protagonista. Per riproporre quest’opera sensuale e violenta che vide la luce 110 anni fa alla Scala sotto la guida di Tullio Serafin, il regista Àlex Ollé e lo scenografo Alfons Flores hanno disegnato gli spazi del castello di Archibaldo con 10 chilometri di catene: una scenografia spettacolare che ben rappresenta la prigione in cui è rinchiusa la protagonista.
Il 28 ottobre l’opera sarà trasmessa in diretta da Rai Radio Tre.
La rappresentazione del 12 novembre sarà trasmessa in diretta da LaScalaTv.
Ogni sera, un’ora prima dello spettacolo, Liana Püschel terrà una conferenza introduttiva in uno dei Ridotti.
L’opera
L’amore dei tre re, opera lirica in tre atti su libretto di Sem Benelli tratta da un suo omonimo dramma, fu rappresentata per la prima volta alla Scala il 10 aprile 1913 con la direzione di Tullio Serafin, compagno di studi di Montemezzi al Conservatorio di Milano e convinto assertore dei suoi lavori. Il successo fu grande, tale da proiettare l’autore trentasettenne, praticamente sconosciuto, sulla ribalta planetaria. Ma probabilmente fu Toscanini il principale responsabile della fortuna di Montemezzi, quando a pochi mesi dalla prima scaligera, il 2 gennaio 1914, propose L’amore dei tre re al Metropolitan di New York, dove il successo fu “strabiliante”, come lo definì lo stupefatto grande direttore. L’amore dei tre re fu presto ripreso con successo negli Stati Uniti, da Chicago a San Francisco: una vera folgorazione oltre Atlantico, dove fu salutato da un noto critico come “il dramma musicale più nobile venuto dall’Italia dall’Otello di Verdi”. In Europa invece l’opera faticò a entrare in repertorio: alla Scala fu ripresa cinque volte fino al 1953 da direttori di primissimo piano (Toscanini, Marinuzzi e, per due volte, De Sabata), ma non raggiunse mai la popolarità d’oltre oceano. Il libretto dell’opera, assai complesso, è improntato a un marcato estetismo dannunziano e, derivando dal dramma di Sem Benelli, all’enfasi verbale unisce un certo gusto del noir, piuttosto diffuso nella letteratura italiana tra fine Ottocento e inizio Novecento. Tra due poli si muove la musica, Wagner e Debussy, come registra Claudio Toscani nella sua presentazione dell’opera: del primo si avverte “l’impronta in una scrittura orchestrale straordinariamente densa, nella complessità delle armonie, nei cromatismi tristaneggianti delle scene d’amore, del secondo in certe atmosfere impalpabili, enigmatiche, oniriche nelle quali i personaggi agiscono quasi in stato di trance.”